I giovani haitiani all’estero: ritornare per ricostruire
Intervista a Ricardo Augustin (marzo 2010)
Ricardo, può presentarsi?
Sono di nazionalità haitiana, nel mio Paese ho studiato giurisprudenza, in Italia ho conseguito un dottorato di ricerca in scienze sociali presso la Pontificia Università San Tommaso d’Aquino a Roma. Devo dire che la mia permanenza qui per lo studio è stata possibile grazie ad una borsa di studio della Cei. A dire la verità non mi ritengo il più meritevole di questa borsa di studio, direi invece che dietro questo onore vi è un progetto, un disegno concreto di puntare sui giovani per un cambio radicale della realtà sociale e politica del mio Paese. Ad Haiti ho fatto esperienze come educatore, ero impegnato nella pastorale giovanile. Conducevo anche due programmi radiofonici per i giovani. Per ultimo, ho partecipato agli inizi della scuola di politica “Toussaint Louverture”. L’Arcivescovo di Port-au-Prince, Mons. Joseph Serge Miot, mandandomi a studiare in Italia, mi ha dimostrato molta fiducia e a volte me ne chiedevo il motivo; ora che il Signore lo ha voluto chiamare a sé in questa tragedia provocata dal terremoto, mi è oramai chiaro il perché egli ha voluto che facessi questi studi: per servire i mio Paese.
Come le ha colpito la notizia del terremoto?
Stavo navigando su internet quando ho letto sul portale di una delle emmitenti radio di Haiti che il Paese era stato colpito da un terremoto di magnititudine 7 della scala Richter; in seguito sullo stesso sito è uscito un altro articolo in cui si è diceva che il palazzo presidenziale, quello di giustizia, la catedrale e tante altre abitazioni erano crollate. Ho provato subito a chiamare a casa ma non passava la linea, ho chiamato i miei parenti negli Stati Uniti d’America ed in Canada e neppure loro avevano notizie; da quel momento è iniziato un lungo tempo di ansia, angoscia e preoccupazione. Le poche notizie che giungevano, parlavano da sole di quanto stava accadendo nel mio Paese. Dopo più di 24 ore di un’attesa agghiacciante mi è giunta la terribile notizia che hanno trovato sotto le macerie il corpo senza vita di mia sorella e di suo figlio di 8 mesi; gli altri membri della mia famiglia sono salvi, a parte mio zio, fratello di papà, che risulta disperso.
Che cosa intende fare ora?
È chiaro che una situazione simile colpisce nel profondo dell’anima chi la vive in prima persona e chi da distante soffre per i propri cari. Ho pensato di recarmi ad Haiti non solo per stare vicino ai miei in questi momenti di sofferenza ma anche e soprattutto per portare il mio contributo con un microprogetto di aiuto alle famiglie colpite. Consideri che nel mio Paese in questo momento c’è bisogno di tutto, per cui ogni aiuto sarà il benvenuto. Il progetto, che abbiamo elaborato, insieme, alcuni di noi giovani haitiani all’estero, consiste in un intervento di vicinanza, cioè una solidarietà orizzontale che ci porterà a dare assistenza diretta a famiglie e a centri di accoglienza. Abbiamo costituito una équipe di 15 persone, amici haitiani che vivono in Italia e negli Stati Uniti, e che rientreranno nel Paese per questo. E’ vero che ci sono gli aiuti istituzionali; ma è anche vero che non tutte le zone e le famiglie sono facilmente raggiungibili e con continuità: vorremmo dare una mano a loro. Inoltre, ci vuole qualcuno che sappia esprimere i bisogni della popolazione, perché ne fa parte, ma che contemporaneamente sappia rapportarsi anche con le istituzioni nazionali e internazionali impegnate nei soccorsi e nella futura ricostruzione: noi abbiamo la possibilità di farlo.
Come vede il futuro del Paese?
Sono molto ottimista sul futuro, questo può essere il momento della svolta, della riorganizzazione, della rinascita, di una nuova partenza. Dobbiamo rifare tutto da capo e adesso indubitabilmente servono nuove idee, energie nuove; è dunque giunto il momento che i giovani, specialmente i più qualificati, si rimbocchino le maniche, ritornino a casa e diano il loro contributo. E’ in momenti come questo che si apprezzano coloro che, come Mons. Miot, avevano nel cuore il futuro del Paese attraverso la formazione all’impegno sociale e politico dei giovani.
Tuttavia, perché questo avvenga dobbiamo contare sull’esperienza della fratellanza che ha sempre segnato la nostra storia. La fraternità sarà la nostra arma vincente, guai se pensiamo che Dio ci abbia abbandonato; anzi è in questo momento di dolore che possiamo esperimentare l’amore di Dio, la sua compassione, dobbiamo seguire l’esempio di Giobbe rimasto fedele al Signore nelle sue disgrazie. Dio ama questo popolo e questo amore deve manifestarsi nella fraternità degli uni verso gli altri; il nostro futuro può concepirsi solo con un impegno solidale e fraterno, prima di tutto dell’haitiano per l’haitiano; e, anche, in stretta comunione con le altre nazioni sorelle che ci aiutano. Riusciremo così a ricostruire un Paese dove tutti possano vivere dignitosamente.